“Se fai qualcosa che le persone vogliono, saranno disposte a pagarti”
Elon Musk
Dropbox, Pinterest, Snapchat sono solo alcuni esempi di start-up che hanno avuto una crescita esponenziale, assicurandosi in breve tempo un posto sul podio del rispettivo settore di appartenenza. Poiché per ottenere risultati diversi bisogna agire in modo diverso, ciò che dobbiamo domandarci è: cos’hanno cambiato queste società nel loro modo di fare marketing, rispetto ai predecessori?
La risposta, come spiega l’economista Ryan Holiday nel suo libro, è sostituire alle strategie di marketing tradizionale il Growth Hacking.
Growth Hacking: di cosa si tratta?
Prodotto e Utente: i due epicentri attorno ai quali ruota la strategia di qualsiasi azienda che voglia affermarsi sul mercato. Il Growth Hacking fa di questi due aspetti la sua ragion d’essere: è un approccio strategico che si sostituisce alle tradizionali campagne promozionali, che prevedono la pubblicizzazione del prodotto solo ad avvenuta realizzazione, e dà vita a un meccanismo che renda marketing e produzione interdipendenti.
In che modo? Focalizzandosi su due punti principali:
- L’acquisizione di clienti come obiettivo primario e come indice di crescita;
- L’integrazione del marketing nel prodotto stesso;
Così facendo, si evita la perdita fisiologica di parte del capitale investito (circa il 50%) che caratterizza le comuni strategie promozionali, permettendo quindi anche a società che non hanno un ingente portafoglio iniziale di inserirsi sul mercato e ottenere risultati concreti con un investimento relativamente basso.
Il Growth Hacking è una strategia di marketing che rende promozione e produzione interdipendenti. Si basa sull’idea di integrare il marketing nel prodotto stesso, ampliando la propria base di clienti ed evitando così la perdita del 50% del capitale investito, caratteristica delle ordinarie strategie promozionali.
L’importanza dei lead nel Growth Hacking
Primo step da attuare per dare inizio al processo di Growth Hacking è quindi quello di ampliare la propria clientela. In base all’incremento in questo senso e alla capacità di mantenimento delle nuove acquisizioni infatti, viene valutata la crescita del business.
Un buon punto di partenza è quello di andare a occupare con il proprio prodotto una “casella” vuota all’interno del mercato.
Una delle leggi del marketing (detta legge della leadership) suggerisce proprio che essere i primi sia più importante che essere i migliori: andare a inserirsi in un ambito ancora inesplorato, assicura già di partenza l’esistenza di potenziali acquirenti.
Proponendo qualcosa di specifico, infatti, ci si rivolge a un target ristretto e ben preciso che vedrà per la prima volta soddisfatta un’esigenza fino a quel momento rimasta senza risposta.
È all’interno di questo gruppo di persone che deve essere intercettato il cosiddetto primo utilizzatore: chi può essere interessato a usufruire del nuovo prodotto? Chi dunque potrebbe andare a costituire la prima fan base nel medio termine? È proprio questa la domanda che anche i grandi colossi della Silicon Valley si sono posti in prima istanza.
Non esiste una risposta preconfezionata.
Ognuno ha agito in modo diverso, sempre però all’insegna del principio di sperimentazione e di minimo impegno economico che si trova alla base del Growth Hacking: Uber ha pensato di individuare il primo utilizzatore al South by Southwest (SXSW), offrendo corse gratuite in un contesto di giovani appassionati di tecnologia, che con grande probabilità avrebbero potuto avere bisogno di un passaggio; Paypal si è invece concentrata su eBay, lanciando una serie di bot che individuassero articoli a prezzo molto basso e chiedessero al venditore la possibilità di acquistarli sfruttando quel servizio.
La strategia migliore, dunque, è basarsi sulla natura stessa del prodotto e sul servizio offerto per individuarne i possibili fruitori.
Primo step del Growth Hacking è l’acquisizione di nuovi clienti. Il modo più efficace per farlo è inserirsi in un vuoto di mercato e individuare il primo utilizzatore del prodotto proposto: qual è il gruppo di persone che potrebbe essere interessato a ciò che offriamo? Chi potrebbe costituirne la prima fan base nel medio termine?
Dall’acquisizione alla fidelizzazione
Se la continua acquisizione di clienti è un fondamentale primo passo per dare il via alla strategia di Growth Hacking e, come vedremo più avanti, diventa condizione necessaria per integrare il marketing nel prodotto, una volta creata una base di lead è importante cercare di mantenerla con dei processi di fidelizzazione e ottimizzazione.
Anche in questo caso non esiste una formula vera e propria per raggiungere lo scopo: quello a cui si deve puntare è il progressivo coinvolgimento dell’utente all’interno delle dinamiche legate al prodotto, oltre che l’educazione all’uso dello stesso.
In questo modo l’utilizzatore tenderà a sentirsi partecipe e a sollecitare altri utenti a venire in contatto con quanto proposto, ultimando il processo di fidelizzazione e contribuendo a quello di acquisizione.
Un esempio in questo senso ci viene dato da Dropbox: durante la procedura di registrazione, si è portati a compiere diverse azioni come scaricare l’applicazione, collegare gli altri pc che si hanno a disposizione, iniziare a caricare i primi file, in cambio di spazio di archiviazione extra. Dropbox ottiene così un doppio risultato: legare l’utente al programma e al tempo stesso “insegnargli” come utilizzarlo, in modo che si tratti di una presenza attiva e partecipe.
Una volta acquisiti nuovi clienti, si deve puntare alla loro fidelizzazione: il Growth Hacking suggerisce di coinvolgere l’utente nelle dinamiche legate al funzionamento del prodotto stesso e soprattutto di educarlo al suo utilizzo.
MVP come base del Growth Hacking
Nella strategia di Growth Hacking, i processi di produzione e di marketing sono profondamente legati e si influenzano a vicenda.
Qual è infatti il modo più semplice e veloce per riuscire a intercettare la prima base di clienti? Farlo proprio tramite il prodotto stesso. I growth hacker suggeriscono di lanciare sul mercato l’MVP (Minimum Viable Product), ovvero una versione elementare e semplificata di quello che vogliamo sia il prodotto finale, e registrare la risposta dell’utenza. Tramite i feedback dei primi utilizzatori poi, verranno stabilite le azioni necessarie per modificare l’articolo in questione.
La versione definitiva del prodotto, quindi, prende forma proprio a partire dalle esigenze primarie dei clienti, tanto che la caratteristica di punta finale si discosta spesso dall’idea iniziale del produttore e non è generalmente messa in evidenza nella versione MVP di partenza.
Si tratta quindi di un meccanismo in cui marketing e produzione si integrano l’una con l’altra e originano un sistema in cui non esiste soluzione di continuità tra l’ideazione del prodotto e la sua promozione.
Per dare vita alla prima versione dell’MVP è essenziale assumere il punto di vista del consumatore e cercare di rispondere ai suoi bisogni, trovando le giuste soluzioni. Si tratta quindi, di fatto, di porsi tre interrogativi:
- Perché un utente dovrebbe voler utilizzare il mio prodotto?
- Perché lo userei io?
- Quali sono gli aspetti che possono fare breccia sul mercato?
Una volta lanciato il primo modello, lo sforzo di immaginazione non sarà più necessario: per i miglioramenti e per le modifiche ci si baserà infatti su dati oggettivi ed esigenze reali espresse direttamente dagli utenti.
Attenzione però a valutare nel modo corretto i dati da analizzare. Non dobbiamo correre il rischio di basare le decisioni di mercato su dei parametri di riferimento fuorvianti: visualizzazioni e click hanno una valenza minima se sono determinate da un’errata informazione del consumatore. In generale, la caratteristica più importante di cui tenere conto rimane comunque la UX, specchio dell’impressione dell’utente.
L’integrazione di marketing e produzione è attuata attraverso l’ideazione dell’MVP (Minimum Viable Product): una versione elementare del prodotto finale che verrà migliorata sulla base dei feedback dei primi utilizzatori. Saranno poi loro stessi, se soddisfatti, a pubblicizzarlo ad altri utenti.
Raggiungere la viralità: ultimo step di una valida strategia di Growth Hacking
Dal processo di interazione tra produzione e marketing discende l’esigenza di diffusione capillare: come si raggiunge la viralità? Con il Growth Hacking anche questo aspetto viene inglobato nel design, nelle funzionalità e nelle modalità di utilizzo del prodotto stesso.
È proprio il prodotto, nell’esplicare la propria funzione primaria, a dar vita a Sharing e promozione come conseguenza diretta. Un effetto collaterale positivo, insomma.
Alcuni esempi di questa metodologia sono la dicitura “Inviato da iPhone” o “Inviato da Blackbarry” presente alla fine di ogni e-mail spedita da uno di questi dispositivi: l’azione di marketing è integrata con la struttura stessa del prodotto; o ancora “Invita un amico” di Dropbox: al suo lancio l’applicazione garantiva 500 MB di spazio di archiviazione extra per ogni amico suggerito dagli utenti.
Ancora una volta si raggiunge l’obiettivo con il minimo sforzo economico, poiché la finalità di diffusione commerciale è inclusa nell’architettura stessa dell’articolo.
Ultimo aspetto del Growth Hacking riguarda la diffusione capillare: i meccanismi volti ad agevolare la viralità vengono inclusi nella struttura stessa del prodotto e si esplicano attraverso il suo design, le sue funzionalità e le modalità di utilizzo.
Conclusioni
Con il Growth Hacking si sfumano i confini tra processo di produzione e di marketing. Si tratta di una strategia che si basa su alcuni punti fondamentali, che possono essere riassunti in questo modo:
- Ideazione di un MVP iniziale;
- Ricerca di una base di primi utilizzatori;
- Miglioramento progressivo del prodotto a partire dai feedback;
- Fidelizzazione e ampliamento della clientela tramite funzionalità e azioni integrate nel prodotto stesso;
- Diffusione capillare e Sharing, tramite elementi inclusi nelle modalità di utilizzo del prodotto;
Una buona strategia di Growth Hacking tuttavia, non segue regole rigide e definite: viene costruita e modellata proprio tenendo conto del singolo prodotto.
In fondo le più grandi società esistenti si sono affermate sul mercato proprio grazie a un singolo e specifico prodotto, che ha fatto la fama dell’intero marchio e ne è diventato portavoce e manifesto.
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