L’iter iniziato il 14 settembre 2016 con la proposta della direttiva europea sul copyright, e che aveva scritto il suo ultimo capitolo il 13 febbraio scorso dopo il trilogo con esito positivo, è giunto a conclusione pochi giorni fa: il 26 marzo 2019.
Questa data è quella che, secondo molti, verrà ricordata come il giorno in cui Internet è morto. Nella giornata di martedì, infatti, il Parlamento Europeo ha votato la Direttiva sul diritto d’autore nel mercato libero digitale dando il via libera alla sua attuazione (che prevede la ricezione da parte di ogni Stato membro entro 2 anni) con 348 voti favorevoli, 274 contrari e 36 astenuti. Non è stato possibile procedere con la votazione dei singoli articoli: l’emendamento che lo avrebbe permesso non è passato per 5 soli voti.
Più che un nuovo abito, il copyright si è messo l’uniforme
Quali sono, dunque, i temi trattati dalla tanto dibattuta direttiva europea sul copyright? L’idea di base è quella di rendere giustizia ai creatori di contenuti sul web, riconoscendo loro i diritti su tutto ciò che producono.
Da sempre Internet è un universo a sé stante, che si muove secondo logiche ben lontane dalle leggi di mercato che regolano gli altri campi dell’esistenza. Questa direttiva è nata con l’intento di combattere il monopolio dei grandi colossi internazionali, mettendo fine allo sfruttamento della creatività che questi giganti del Web attuano nei confronti dei creatori dei contenuti che poi di fatto determinano il loro guadagno.
Apparentemente quindi non ci dovrebbero che essere conseguenze negative: il Parlamento Europeo si sarebbe trasformato nel Robin Hood del terzo millennio, che ruba ai ricchi della Silicon Valley, per dare ai poveri utenti sfruttati.
Sull’argomento però si sono levate diverse proteste, da parte di chi ha cominciato a pensare ai possibili risvolti, nel medio e lungo periodo, della nuova legge sul copyright. Sono stati oggetto di dibattito in particolare gli articoli 11 e 13, divenuti poi con le modifiche apportate in sede parlamentare, il 15 e il 17.
Vediamo più nello specifico di cosa si tratta:
Articolo 11, oggi 15, della direttiva
Questo articolo riguarda la Protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale. Dovrebbe dare potere di negoziazione agli editori e in generale ai creatori di contenuti Web, nei confronti delle piattaforme che ne propongono anteprime traendone in qualche modo profitto. Ciascuno infatti, può rivendicare il copyright sulle proprie creazioni e nello specifico, per ciò che concerne questo articolo, su loro estratti.
Nel concreto questa parte della direttiva interessa i cosiddetti Snippet, ovvero le anteprime di poche righe che vediamo nella SERP di Google ogni volta che effettuiamo una ricerca. Ogni detentore di diritti potrà infatti richiedere alle piattaforme che pubblicano metadescrizioni, di ricevere equo compenso (Articolo 12), nel qual caso tali piattaforme (si pensi a soggetti del calibro di Google News e Facebook) saranno in dovere di stipulare un contratto di licenza d’uso con colui a cui spettano i diritti di copyright.
Nel caso in cui il detentore dei diritti a sua volta si serva di terzi per la produzione dei contenuti, ai giornalisti, copywriter, artcolisti o chi per loro dovrà essere corrisposta una parte dei proventi derivante dal copyright.
Gli accordi tra le parti, sono soggetti a interpretazione: non esistono tipologie contrattuali standard (non personalizzabili e adattabili) privi delle eventuali eccezioni introdotte dalle parti. Il compenso di cui si parla viene determinato “secondo usi o secondo equità”.
Fanno eccezione a questo articolo le licenze Creative Common, i link ipertestuali e le anteprime che prevedano “l’utilizzo di singole parole o brevi estratti”, indicazione vaga che vorrebbe differenziare questi elementi dal classico snippet.
Qual è il problema, dunque? Vincono tutti.
In realtà, come è stato più volte fatto notare, questo articolo porta acqua solo al mulino di pochi: le grandi lobby editoriali o, ad esempio, musicali avranno sì un grosso potere di leva su entità come Google e Facebook. Ma il piccolo pesce, che leggono in pochi, a cui di fatto Mr. Google fa un grande favore in termini di visibilità e di traffico, non potrà mai sperare che la propria rivendicazione venga ascoltata. Quindi si annulla del tutto l’effetto benefico che la direttiva avrebbe dovuto avere.
La situazione rimane invariata insomma: il piccolo, minuscolo, sito o blog non potendo chiedere compenso per le anteprime che vengono mostrate, continuerà a caricare i propri contenuti gratuitamente. Di contro, se il rapporto si svolge tra due piccole entità, ad esempio una piccola piattaforma che in qualche modo mostra snippet o anteprime di contenuti prodotti da altri siti, la rivendicazione del copyright potrebbe portare all’affondamento di entrambi: il primo, non potendosi permettere di retribuire il secondo (perchè a sua volta non riceve alcun compenso da Google) rifiuterebbe di mostrare i contenuti, il secondo si troverebbe a contare su un canale di traffico in meno.
L’Articolo 11, divenuto 15, della direttiva europea in materia di copyright regola i rapporti tra il detentore dei diritti d’autore e le organizzazioni o le piattaforme che ne pubblicano anteprime traendone vantaggio economico. Si stabilisce che il creatore del contenuto possa richiedere equo compenso a chi ne fa uso.
Articolo 13, oggi 17, della direttiva
Il secondo articolo che ha generato scalpore è quello che riguarda l’utilizzo dei contenuti protetti da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione che utilizzano o danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiale caricati dagli utenti.
Secondo quanto riportato in questo passaggio, qualunque piattaforma faccia uso di contenuti generati da altri utenti deve assicurarsi che i contenuti caricati dagli utenti non violino il copyright.
Questo passaggio è pensato proprio per fare nuovamente riferimento ai colossi del Web come Google, Facebook e YouTube: infatti la responsabilità decade o è fortemente limitata per società con fatturato inferiore a 10 milioni di euro annui o che svolgano l’attività da meno di 3 anni.
Non vengono considerati violazioni del copyright i caricamenti di contenuti su Cloud, le citazioni, le caricature e le parodie, i contenuti proposti da enciclopedie on-line no profit (come Wikipedia) e da siti per la condivisione di software open source (GitHub), gli utilizzi per scopi di insegnamento o educativi e per la conservazione del patrimonio culturale e, infine, il text e data mining per ricerca o per contribuire allo sviluppo dell’analisi dei dati e dell’AI.
I soggetti in questione dovranno quindi prendere le misure necessarie ad assicurarsi che i propri utenti non violino le norme vigenti sul copyright nei confronti di terzi. E qui nasce la polemica. Pur non essendoci obbligo nell’uso di filtri, infatti, in quale altro modo una piattaforma che dà accesso a milioni di utenti potrebbe tenere sotto controllo i caricamenti?
C’è chi ha fiutato possibili limitazioni alla libertà di espressione: filtrare significa in fondo applicare un certo tipo di controllo. E la parola controllo agli utenti del Web non è mai piaciuta più di tanto: Internet nasce come una realtà libera, di condivisione e di interazione.
Da un lato il filtro è comunque legato a un codice, è un AI che difficilmente riuscirà a cogliere tutte le sfumature legate all’uso di una porzione di testo: parodie e citazioni costituiscono eccezioni per noi, ma sarà difficile “comunicarlo” a loro.
Dall’altro si apre un ampio capitolo sulla possibilità di controllo dell’informazione: l’impostazione dei filtri, se effettuata in mala fede, potrebbe portare all’esclusione di alcuni tipi di contenuto non tanto perché non in linea con le norme sul copyright, quanto perché scomodi a chi ha il potere di deciderne le sorti.
Insomma: Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?
L’Articolo 13, odierno 17, riguarda invece le grandi piattaforme che lucrano su contenuti proposti e caricati dagli utenti: a loro la responsabilità in caso di violazione del copyright e a loro l’onere di attuare opportune misure volte a evitarla.
Conclusioni
La Direttiva sul diritto d’autore nel mercato libero digitale che ha visto l’approvazione da parte del Parlamento Europeo lo scorso 26 marzo, è tesa a combattere lo sfruttamento della creatività sul Web e a garantire agli sviluppatori di contenuti testuali o di qualsiasi altra natura, di ricevere un giusto riconoscimento per il proprio lavoro.
La direttiva ha generato non poche perplessità e critiche, soprattutto per quanto riguarda i possibili risvolti degli articoli 11 e 13: il primo norma i rapporti tra detentori del copyright e piattaforme che propongono anteprime di contenuti prodotti da terzi; il secondo, impone il controllo delle grandi piattaforme su eventuali violazioni del diritto d’autore, a opera degli utenti.
C’è chi grida alla morte di Internet e alla fine della libertà di espressione sul Web. Ora tutto è in mano ai singoli Stati membri, che avranno due anni di tempo per recepire la proposta europea.
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